Il cancelletto Rosso

Le parole di Carlotta confermano che con la rubrica VITA DI CASA 2.0 non scopriamo solo qualcosa di più delle tante persone che abitano il mondo di Villa Sant’Ignazio; ma ci rendiamo conto che questo mondo assume significati sempre diversi, partendo dall’immaginario che può nascere da un “semplice” cancelletto rosso.  
 
Tu arrivi dal Lazio e tuo marito dalla California.
La relazione con Trento qual è?

Il motivo per cui io sono a Trento è mio marito californiano. A un primo sguardo non sembra proprio un percorso lineare. In effetti non lo è: ci siamo conosciuti in California. Lì lavoravo negli archivi di un’università collaborando a una ricerca e, quando è stato il momento di decidere che possibilità avevamo di vivere insieme, lui è stato quello che ha avuto il coraggio di cambiare continente.

Nel farlo è arrivato fino a Trento, quindi io ho fatto quest’ultimo passettino per raggiungerlo qui, da Roma. Questo quindi è stato il punto di incontro in cui abbiamo costruito poi la nostra vita insieme e la nostra famiglia. Siamo molto legati a questo luogo.

Nonostante ciò, in questo momento sentiamo anche quanto è lontano dagli altri nostri poli. Obiettivamente Roma non è tanto lontana, ma in questo momento sembra lontanissima. L’altro nostro polo invece, la California, è effettivamente molto lontana.

 

Quando e come ti sei avvicinata a questa realtà?

Arrivati a Trento abitavamo a San Donà e tutte le volte, facendo la strada per andare in città, passavo da Via dei Giardini e vedevo questo cancello rosso. Mi chiedevo che cosa fosse, ma anche se era aperto non osavo entrare. Nello stesso periodo, parlando con il Padre gesuita che ha sposato i miei genitori, gli ho chiesto se a Trento ci fossero i gesuiti e lui mi ha parlato di Villa S. Ignazio. Ho cercato sulla cartina e mi sono resa conto che era molto vicino a casa nostra; dopo un po’ di tempo ho capito che il cancelletto rosso portava proprio lì!

A quel punto abbiamo iniziato a frequentare Villa, abbiamo conosciuto Padre Livio e altre persone, abbiamo cominciato a prendere parte ad alcune attività e ad avvicinarci ad alcune delle tante anime di Villa. Ho cominciato a fare volontariato e ad un certo punto mi è stata offerta una collaborazione.

Tutto questo è successo intorno al 2006. Ho lavorato nel settore che si occupa dei progetti, in particolare progetti di inserimento lavorativo per persone con disabilità, poi ho avuto due bambini e la condizione è stata tale per cui di fatto la collaborazione si è praticamente chiusa. Sono tornata a Villa anni dopo, sempre nell’area progetti ma in modo diverso: ora non mi occupo direttamente di nessun progetto, ma sono la referente dell’area e di alcune attività, tra cui la formazione interna e il monitoraggio del servizio civile.

 

Ci piacerebbe fare un focus sulla situazione che stiamo vivendo.
Secondo te cosa cambia nel lavoro sociale? E per le persone più fragili? Hai qualche spunto?

Il mio lavoro qui guarda sia dentro che fuori dalla casa.

Dentro la casa la vita è effettivamente andata avanti, nel senso che le persone accolte ci sono. Villa è una casa, e una casa non si ferma e non chiude le porte. Certo, sono cambiate tante cose e quindi anche il lavoro sociale si è dovuto un pochino reinventare, penso in particolare ai colleghi che hanno dovuto adattarsi, inventarsi anche dei modi nuovi di fare, di stare con le persone e di gestire il rapporto con i servizi. Si sono create delle fatiche in più, però sono state anche delle fatiche stimolanti sotto molti aspetti. Anzi, forse dei piccoli esperimenti che sono stati fatti, forzati dalla situazione, sono stati poi valorizzati come degli aspetti da tenere in maniera un po’ più permanente.

Guardando il fuori invece è un momento proprio difficile; se penso ai percorsi che seguiamo, ai progetti del fondo sociale europeo per l’inserimento di persone nel mondo lavorativo e a tutto l’accompagnamento che facciamo per l’Agenzia del Lavoro la situazione è molto statica e quindi tutto si è dilatato. È molto difficile trovare lavoro, trovare tirocini, stiamo vivendo una battuta d’arresto un po’ rischiosa. Già non è facile muoversi normalmente, ma in questo momento in cui dopo essersi attivati, dopo essere partiti con un percorso, non se ne riesce a vedere la fine o si è costretti a vivere l’esperienza in modo parziale rispetto a quello che ci si aspettava di fare, la difficoltà diventa ancora più grossa. Le prospettive lavorative sono comunque molto ridotte, insomma c’è sicuramente una dimensione di sofferenza e instabilità. Le persone che hanno una rete meno stabile sentono di avere particolare bisogno di affidarsi a dei servizi che proprio in questo momento sono più difficili da raggiungere. C’è più bisogno di qualcuno con cui interfacciarsi, adesso che è diventato più difficile interfacciarsi con qualcuno.

Noi, dall’avere un ufficio pieno di collaboratori, di operatori che si occupano dei vari progetti e vedere un bel giro di persone che vengono per le lezioni, per i colloqui, per i monitoraggi, siamo passati all’avere un ufficio semivuoto; quindi paradossalmente proprio adesso che c’è più bisogno di aiuto è più difficile offrirlo.

In questo periodo però c’è sicuramente anche una parte di risveglio: nel momento in cui si viene fermati da una certa situazione e costretti a rivedere degli aspetti, allora si crea anche l’opportunità di attivarsi per mettere a posto certe cose. Detto questo, è ovvio che c’è chi ha più possibilità di attivarsi, sia dal punto di vista delle risorse personali che di quelle economiche e chi ne ha meno. Proprio per questi noi saremo chiamati, nei prossimi mesi e anni, a fare il possibile, con l’obiettivo di tutelare maggiormente le persone che fanno più fatica ad attivarsi da sole.

 

C’è qualcosa che pensi che rimarrà di tutto questo nella vita delle persone? E nella vita di Villa?

Quando penso a questa cosa le prime persone che mi vengono in mente sono i miei figli. Il primo pensiero è “chissà che cosa lascerà nella loro vita”, ma poi questo pensiero si allarga a cerchi concentrici, quindi poi me lo chiedo anche rispetto alla mia famiglia, poi si allarga ancora e arriva anche a una dimensione che riguarda relazioni più globali.

Faccio molta fatica a immaginare che cosa rimarrà e mi chiedo se tra dieci anni penseremo a “quell’anno” o due, o se invece questo tempo segnerà un vero e proprio cambio, se questo sarà “l’anno in cui abbiamo cambiato…”.

Banalmente, quest’abitudine delle mascherine e del distanziamento mi auguro fortemente di lasciarmela alle spalle. Se penso al futuro, voglio essere di nuovo seduta ai tavoli a mangiare vicina agli altri, senza dovermi preoccupare. La speranza semplice è quella di non perdere la possibilità e la capacità di invitare con naturalezza delle persone a casa a mangiare una pizza.

Uno degli aspetti affascinanti di Villa, con tutte le sue complessità, è proprio il fatto che è un ambiente di vita, vissuto da più persone e a più livelli. C’è quindi chi vive la casa nella sua dimensione più “domestica”, mentre tante persone la vivono come una parte significativa della loro vita culturale e spirituale. Il fatto di avere le persone che vivono in comunità, per le quali c’è bisogno di una serie di attenzioni, assieme al gruppo che viene a fare l’attività di canto da un’altra città e che magari incrociamo alla macchinetta del caffè era veramente uno degli aspetti più particolari di questo posto, e questo è cambiato tanto. Quest’anno di gruppi praticamente non ce ne sono stati… Speriamo di rivedere presto questa convivenza. Da questo punto di vista una cosa che è stata fatta e che si può fare sempre più è quella di valorizzare e sfruttare al meglio i numerosi spazi esterni che questo posto offre: abbiamo una risorsa importante per tornare a vivere alcuni momenti di “normalità”.

9 Aprile 2021